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La monodia profana medievale


L'apparizione della canzone profana in lingua d'oc riesce tanto più mirabile e sorprendente in quanto non ce ne sono stati conservati precedenti storici. Certamente questi non potettero mancare ma a nessuno poteva passare per la testa il fatto che i semplici canti del volgo fossero prodotti artistici degni di essere scritti e conservati. Una sensibilità nuova è il motore segreto di questa rinnovazione della lingua poetica e dei mezzi musicali: una sensibilità che evade dall'astratta universalità medievale e scende dal cielo in terra, apre gli occhi sulle bellezze della natura, ammira la grazia della donna, gusta le gioie dell'amore, gli incanti della primavera, s'individua insomma in concreta personalità umana. Per la prima volta nella storia della musica sono presenti alcuni esempi di melodie aventi un chiaro, inconfutabile valore espressivo, capaci di fondersi armoniosamente con il suono e il significato delle parole in eleganza d'atteggiamenti e in conchiusa compiutezza formale. A seconda del contenuto letterario le canzoni trovadoriche presero diversi nomi. Si è soliti operare una grande distinzione tra le chansons courtoises, di gusto aristocratico e colto, nelle quali spesso il poeta si compiaceva del trobar clos, cioè di un verseggiare oscuro, per allusioni intellegibili solo ad una cerchia di iniziati o solo alla dama cui l'omaggio poetico era rivolto, e le canzoni cosiddette oggettive, di gusto semplice e popolareggiante nelle quali il poeta, più che parlare direttamente di sé pone, in scena dei personaggi. Si hanno allora la pastourelle, la reverdie, nelle quali si manifesta il nuovo senso della natura posseduto da questi poeti: la chanson d'aube, tipico documento della profonda immoralità provenzale, varie forme di canzoni da ballo, canzoni storico narrative e drammatiche sui temi tradizionali della mal maritata, della sposa con un guerriero lontano etc. Queste canzoni, che si accostavano decisamente alla freschezza del gusto popolare venivano spesso abbandonate dal trovatore, per l'esecuzione e la diffusione, al menestrello, il quale era una sorta di cantore e giocoliere ambulante, con qualcosa del saltinbanco e dell'aedo, sorto dalla graduale fusione del lascivo scurra romano e dall'austero scop teutonico. Si accompagnava solitamente con una viella.

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